venerdì 23 marzo 2012

Guerriglia pallet: sotenibilità contro l'illegalità

DA VIADANA NOTIZIE:

Siete tutti invitati a partecipare attivamente alla nascita del movimento “GUERRIGLIA PALLET” per promuovere e comunicare il pallet come protagonista nella Green Economy.
Sabato 31 marzo alle ore 14.00/16.00
c/o Sala Europa a Fa la cosa giusta, Fieramilanocity!
Forse il termine “Guerriglia” vi può sembrare un po' troppo forte per i nostri intenti, ma l'abbiamo scelto per questo: noi “DOBBIAMO” essere forti.
Dobbiamo essere forti e aggressivi contro l'illegalità e l'ignoranza, dobbiamo farci vedere, farci sentire e far parlare di noi.
Ci dobbiamo battere contro un problema reale e ancora sconosciuto.
Non dovremmo aver paura di usare questo termine perché è proprio quello che ci serve.
La guerriglia è stata la base per i più importanti movimenti di libertà e di autodeterminazione dei popoli e delle persone.
"Guerriglia" non ha una valenza negativa, se non tra chi porta avanti lo status quo e gli interessi di pochi e conservatori”.
Quello che vogliamo portare avanti sono i valori positivi della protesta civile e sociale contro un sistema di cui non si sa nulla e su cui regna la
disinformazione. I nostri obiettivi sono la legalità e la salute dell'uomo gridati con forza e determinazione.
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“Le merci fanno girare l’economia, i pallet fanno girare le merci, dunque i pallet fanno girare l’economia. E’ quindi sbagliato pensare
che il pallet non incida sull’economia Made in Italy, sulla sostenibilità e sulla salute dell’uomo”.
Il Greenpallet è un attore fondamentale della filiera bosco-legno-consumatore, sia all’interno dei progetti di Responsabilità Sociale
d’Impresa, che le aziende più attente e sensibili stanno sviluppando, sia tra il cittadino consumatore, che “vota” con il suo
portafoglio, e con le sue scelte dà valore e dignità ad un prodotto piuttosto che ad un altro. Si pensi che ogni consumatore acquista
4 pallet all’anno, quindi è sbagliato considerarlo come l’ultimo anello della catena di fornitura, al contrario ne è parte attiva (coproduttore).
L’unico modo per contrastare un’economia del pallet che non riconosce il lavoro e la dignità dell’uomo, è mettere l’uomo e i suoi
valori al centro del progetto d’impresa, seguendo il motto “l’unione fa la forza e la differenza”.
Per questo il 31 marzo 2012 a “Fa la cosa giusta” nasce il movimento GUERRIGLIA PALLET che coinvolge tutti gli attori della
filiera di produzione e consumo sostenibile, promuovendo le 4 R: riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero. GUERRIGLIA PALLET
vuole essere una campagna attiva con lo scopo di sensibilizzare, ispirare ed orientare comportamenti sani, responsabili e legali
di tutta la filiera e sapere trasferire questi valori attraverso la comunicazione partecipata tra produttori, utilizzatori e
cittadini, che vorranno creare le condizioni più favorevoli per migliorare la qualità della vita delle persone e del pianeta.
L’obiettivo è creare una filiera pallet Made in Italy per favorire una gestione attiva della risorsa legno locale, creare posti di lavoro
sia nell’agroselvicoltura che nelle fabbriche dei pallet, agevolare l’integrazione dei giovani e quindi il passaggio generazionale nelle
nostre imprese per introdurre un innovativo modello di economia che riesca a guardare oltre la crisi. Guerriglia Pallet nasce per
volontà di Palm a livello locale, ma vuole estendersi in modo capillare a livello nazionale.
Per questo motivo Palm SpA, fra i main sponsor a Fa la cosa giusta, ed un gruppo di imprese, produttrici, riparatrici e utilizzatrici di
pallet, interessate a promuovere la Green Economy nei prossimi anni, danno vita a il movimento “GUERRIGLIA PALLET”, i cui
principi guida saranno parte del manifesto che verrà sottoscritto dai fondatori del movimento.
Verrà realizzata una piattaforma di comunicazione partecipata web 2.0 per interagire a livello nazionale con tutti gli attori della
filiera pallet, utilizzatori, cittadini, università, centri di ricerca, giornalisti, blogger, ONG, associazioni di consumatori e associazioni
di categoria, giovani designers per creare una rete di design.

giovedì 22 marzo 2012

DA ORTI DI PACE.ORG

EROSIONE DEI SUOLI, EROSIONE MENTALE

18 marzo 2012

Combattere l’erosione dei suoli, combattere l’erosione mentale.
C’è una bella congiunzione, nel cielo, Venere e Giove si accompagnano e si
sorridono nelle prime ore della sera. Febbraio e marzo in loro compagnia,
complice una luna che sapeva tanto di stregato, anche se solo per qualche
giorno, hanno introdotto un marzo che sarà pieno di lavori nell’orto.
Non sono ancora tre anni che vivo a Cranno, neanche tre anni che mi sono
sistemato su questo poggio, vedetta sulla valle e custode di una cascata.
Dovevate ammirarla completamente gelata: si è rivestita di un manto algido,
una sorta di tunica lunga con un collo a sbuffo, un cratere sotto il quale
scorreva un rivolo d’acqua e, sotto, un laghetto ghiacciato.
Via il gelo, ora i -15 gradi sono alle spalle e nell’orto il tepore permette
di ricominciare a lavorare. Per prima cosa occorre preparare il terreno. Questo
è un poggio e dunque costituito da balze, terrazzamenti in declivio. L’erosione
è normale: la pioggia, la stessa forza di gravità spostano verso il basso masse
considerevoli di sostanza organica… che a me occorre tutta qui, in alto,
nell’orto, nelle strette strisce che devo apprestare alle coltivazioni.
Così, armato di pala, piccone, due secchi capienti, eccomi a spostar terreno
dal basso verso l’alto, pian pianino si recupera l’erosione e , dove sto
compiendo il lavoro, a ridosso di una recinzione, salvaguardo l’opera stessa e
scavo una sorta di trincea che mi permette un agevole passaggio e garantisce
che il successivo terreno che, naturalmente scenderà, venga fermato.
Solo fatica? Solo sudore? Per niente. Ho in mente le grandiose immagini, foto
scattate dall’alto di zone della Cina o della Thailandia: immense coltivazioni
di riso estese seguendo le curve di livello delle montagne, non un albero ma
solo risaie, una sull’altra, un lavoro di millenni, compiuto quando non
v’erano nè ruspe e tantomeno mezzi meccanici di nessun tipo. Generazioni e
generazioni di contadini, milioni di esseri umani che hanno saputo con rara
maestria rendere coltivabili colline, montagne in uno sforzo corale, una vera e
propria “poesia”, una poiesis, creazione collettiva che ha assicurato difesa
dall’erosione, e così nutrimento, sicura fonte di cibo per tutto questo tempo.
Non è più così: nel mondo, ben lungi dall’affidarsi alla sapienza dei popoli
contadini, l’attuale presunzione tecnocratica sta condannando milioni di ettari
di terra, una volta fertile, alla morte, alla sterilità assoluta.
Ciò che la fatica e la sapienza dei popoli aveva saputo creare svanisce,
annullato dalla smania di guadagno, dalla supponenza e dallo strapotere
multinazionale.
Sementi Ogm, tecnologie invasive, uso massiccio di fertilizzanti chimici ed
ecco che si sgretola, si annichilisce il connubio felice che il contadino aveva
saputo stabilire tra le proprie pratiche agricole e la terra.
I trattori sempre più pesanti, la sparizione di ogni coltura mista, in Asia si
allevavano le oche ed anatre in mezzo al riso, vi si pescavano le ranocchie e
pesci, si coltivava di tutto: ora non più, monocultura intensiva e fine del
paesaggio vario, intarsiato di alberi e colline, ponticelli e villaggi.
Erosione del terreno come mai si era conosciuta nella storia dell’uomo.
Erosione mentale, il contadino, ridotto a puro operatore, non conosce più
nulla, perse le sapienze millenarie, perse le canzoni.
Io volgo lo sguardo verso Giove e Venere e sorrido ancora. Sono un contadino
anch’io e riesco a cogliere i movimenti degli astri, non solo a premere i tasti
di un televisore. Mi dico fortunato, il computer mi serve a scrivere di queste
cose, calde, rimandare o tentare di rimandare pensieri, considerazioni che ,
chissà, potranno arrestare, un poco, la tremenda erosione mentale, non solo
biologica, in atto potentemente e folle, su questo piccolo pianeta che abito.
Buona Primavera, buon lavoro a tutti nell’orto e e nei giardini, buon lavoro e
che la fine, la fine, non si avvicini.
Teodoro Margarita

martedì 20 marzo 2012

Orti urbani e didattici per coltivare...se stessi


Coltivare la terra è un’azione molto antica che ha da sempre accompagnato tutte le attività dell’uomo. Coltivare la terra vuol dire rispettare la natura ed apprezzare i prodotti che essa offre: si impara a rallentare, perché i tempi dell’orto educano all’attesa, alla pazienza e allo stupore nel veder germogliare il seme e nel seguire la maturazione della pianta fino a coglierne il frutto.
In questo particolare momento storico in cui tutti i fondamenti economici sono sottoposti ad un’attenta riflessione, i terreni agricoli non tornano solo ad essere considerati come un bene rifugio, ma essi rappresentano molto di più, un valore legato ad una società sostenibile costruita su scelte consapevoli e piccole azioni concrete anche dei comuni cittadini.
La produzione alimentare ha un forte impatto sull’ambiente ed è necessario scegliere prodotti locali e di stagione, il che equivale ad un’azione in armonia con la natura, rispettando le biodiversità, limitando i trasporti e riducendo di conseguenza l’inquinamento e la produzione di rifiuti.
Imparare a mangiare in modo sano e consapevole e proporre uno sviluppo urbano sostenibile, attraverso la concezione di un’orticoltura moderna, è il fine degli orti didattici e urbani che si stanno moltiplicando in tutto il territorio nazionale.
Alcune scuole e famiglie, ma anche quartieri cittadini, stanno sperimentando la pratica della coltivazione dell’orto come strategia concreta per migliorare la qualità dell’ambiente e creare una società più in armonia con la terra e non solo. I cittadini sensibili al consumo critico incentivano, in tal modo, le coltivazioni in piccoli orti sul balcone valorizzando le pratiche legate alla filiera corta e contribuendo a modificare sostanzialmente gli attuali modelli di consumo di prodotti agro-alimentari. Questi comportamenti virtuosi basati sull’utilizzo di prodotti locali di qualità e legati alla stagionalità, creano anche un nuovo modello di società che può trarre notevoli vantaggi individuali e collettivi affrontando positivamente e concretamente i gravi problemi ambientali globali.
Chi partecipa a questi progetti mette un atto un percorso educativo e sociale basato sull’acquisizione di nuove pratiche di agricoltura urbana, una maggiore conoscenza dell’ambiente, e soprattutto aumenta la socializzazione degli abitanti del quartiere, o gli alunni di una scuola, favorendone la condivisione e la creazione di nuove forme di cooperazione sociale.
Coltivare la terra, curare un orto, può anche contribuire ad ottenere un beneficio a livello psico-fisico, effetti positivi terapeutici per tutti coloro che soffrono di disagi psichici, per rafforzare la propria autostima ed aumentare le capacità di relazionarsi con gli altri.
Coltivare un orto cittadino non significa solo imparare le tecniche di coltivazione della terra, ma può costituire un ottimo strumento terapeutico e riabilitativo per coltivare noi stessi. E perché no, tentare di tarsformarla anche in una vera e propria attività professionale.

FATTORIA DIDATTICA E ORTI URBANI A PORTLAND, OREGON

zenger farm portland fattoria didattica
Fattoria didattica Portland
Una fattoria didattica cittadina e giardini di comunità con orti urbani. Sono un pezzo dell’alta vivibilità di Portland, capitale dell’Oregon, costa occidentale degli Stati Uniti, subito a Nord della California, uno dei centri del nuovo Nordamerica sostenibile.
La ricerca di un riequilibrio nei rapporti tra città e campagna è passato anche dal recupero di una vecchia azienda agricola con caseificio in via di dismissione nella periferia di Portland, cinquecentomila abitanti in città, duemilioni e centocinquantamila nell’area metropolitana.
La Zenger Farm nel 1994 è stata acquistata dall’amministrazione della capitale dell’Oregon, che, dopo un progetto realizzato con la partecipazione dei cittadini, ha deciso in quale modo usare la vecchia fattoria. Per questo una parte è stata destinata al contenimento delle pioggie, data la sua originaria vocazione di pianura alluvionale. Una parte è così diventata un ecosistema umido, con relativa importante biodiversità e recupero di equilibrio idrico per i vicini quartieri. Un’altra porzione dei terreni è stata affittata a un’impresa agricola, che in seguito è diventato il principale pilastro dell’evoluzione in fattoria didattica urbana.
Per questo Zender Farm è un’azienda agricola no profit, con produzione di ortaggi e allevamento di polli, alla quale collaborano dalle scuole dell’obbligo all’università, e che è retta da un’associazione di abitanti del sudest di Portland, la zona dove si trova la fattoria. Scopo principale trovare soluzioni sostenibili per l’agricoltura periurbana, in primo luogo per mantenere in equilibrio economico la stessa Zender Farm. Tra le iniziative della fattoria vi è l’organizzazione di un locale mercato dei contadini.
Altro programma dell’amministrazione e dei cittadini di Porland, sempre per ricostruire un rapporto tra città e campagna, è quello dei giardini di comunità con orti urbani. Dal 2009 la collaborazione tra abitanti, istituzioni e privati ha permesso di incrementare le iniziative verso la sicurezza e l’autosufficienza alimentare. Di pari passo sono andate le assegnazioni, nel 2011 sono state centocinquanta, e la realizzazione anche orti scolastici, che hanno consentito scambi di conoscenze nei vari ambiti della città dove il programma degli orti urbani di Portland è in corso. La lista di attesa è ancora lunga, e segnala la voglia di nuova agricoltura cittadina.

Orti didattici, orti urbani, orti terapeutici…orti di salute!

Agricivismo, la campagna dentro la città. Piccoli spazi di terreno, per seminare, veder crescere e raccoglierne i frutti

Orti didattici, orti urbani, orti terapeutici…orti di salute!
   Piccoli riquadri di terreno - pubblico o privato - ricavati nei giardini delle scuole, lungo gli argini dei fiumi, in spazi vuoti o sgradevoli e degradati da affidare alla cura di bambini, adulti o anziani per seminare, veder crescere, raccogliere ed infine consumare i frutti del proprio lavoro.
    Qualcuno, appellandosi al concetto di polifunzionalità proprio per sottolinearne il valore a favore della relazione e della qualità ambientale e paesaggistica, li ha definiti "luoghi ideali per intrecciare scambi con la natura, l'ambiente e la comunità"; qualcun altro, invece, parlando di agricoltura urbana e di agricivismo (la campagna dentro la città) ne ha evidenziato l'importanza per sensibilizzare i "cittadini" sulle questioni collegate alla sostenibilità alimentare e ambientale; qualcun altro ancora ha messo in risalto la loro potenzialità terapeutica parlando di garden therapy e di occasione privilegiata per svolgere attività fisica. Altri, invece, hanno mostrato il ruolo fondamentale che possono assumere nella nostra non facile riconciliazione con il saper attendere e nel favorire, altresì, atteggiamenti di cura piuttosto che di sfruttamento nei confronti dell'ambiente naturale.

   Ne ho visti di bellissimi dal punto di vista estetico agli inizi degli anni '80 a Copenhagen, li ho ammirati una decina di anni dopo anche a Bordeaux ed ho molto apprezzato l' effetto di quelli realizzati dai "coltivatori urbani" intorno a l'Avana: il 50% del cibo consumato in quella città proviene proprio da lì.
   Ho letto con interesse il documento elaborato e diffuso dall'Office International du Coin de Terre e des Jardins Familiaux (Organizzazione europea no-profit con sede a Lussemburgo che riunisce oltre 3 milioni di famiglie che si prendono cura di un orto urbano o un giardino familiare) per sollecitare l'inserimento di questi orti e giardini "particolari" nei Piani Urbanistici Comunali.

   In questo atto si afferma infatti che "...i giardini familiari sono un elemento essenziale per la salute fisica e psichica degli uomini e migliorano la qualità della vita di tutti i cittadini.
   Frutta e ortaggi sani coltivati nel proprio giardino, permettono una dieta variata, il contatto con il ciclo di crescita naturale e la creatività del giardinaggio stimolano i sensi. I rapporti personali e la convivialità all'interno del gruppo evitano l'isolamento."
   E, a proposito di dieta, mi piace ricordare come anche il Journal of American Dietetic Association, nel numero di marzo 2010, includa una review sui potenziali effetti benefici dei Farmer Markets e dei Community Gardens sugli introiti di alimenti vegetali (frutta e verdura) negli USA, soprattutto nei soggetti più fragili (anziani e persone con svantaggio sociale).
   Un ambito di indagine che potrebbe rivelarsi di grande interesse anche per i dietisti italiani considerato che anche nel nostro Paese la passione per la cura del verde comincia a crescere, coinvolgendo oramai 4 persone su 10 (soprattutto over 65 ma non mancano nemmeno i giovani) e sono sempre più numerose le Amministrazioni Comunali che mettono a disposizione di chi ne faccia richiesta piccoli appezzamenti di terreno da coltivare.
Tratto da: http://www.andid.it/ di Stefania Vezzosi

lunedì 19 marzo 2012

PICCO DEL PETROLIO, SPECULAZIONE O BANCHE CENTRALI: CHI E' IL RESPONSABILE?

IL PERCHÉ DELL’ESORBITANTE IMPENNATA DEL PREZZO DEL PETROLIO
Postato il Domenica, 18 marzo @ 18:10:00 CDT di supervice
Informazione PEAK OIL O SPECULAZIONI DI WALL STREET? DI F. WILLIAM ENGDAHL
Global ResearchSin da circa l'ottobre dell'anno passato, il prezzo del greggio sulle borse merci mondiali è esploso. Diverse persone offrono diverse versioni. La più comune è la convinzione nei mercati finanziari che lo scoppio di una guerra tra Israele e l'Iran, tra gli Stati Uniti e l'Iran oppure tra tutti e tre sia imminente. Altri fronti sostengono che il prezzo stia aumentando inesorabilmente a causa del superamento del cosiddetto "Peak Oil", il picco del petrolio, il punto di una curva gaussiana immaginaria in cui la metà delle riserve conosciute sono esaurite, mentre la quantità estratta diminuirà parallelamente all'impennata dei prezzi.

Sia il pericolo della guerra, sia il picco del petrolio sono motivazioni fuori luogo. Proprio come nell'impennata stellare dell'estate del 2008, quando nel mercato petrolifero si sfiorarono i 147 dollari al barile, l'olio nero oggi è sempre più caro a causa della pressione delle speculazioni sui mercati attuate con gli hedge fund o da grandi istituti bancari come Citigroup, JP Morgan Chase e, più di tutti, Goldman Sachs, una banca sempre in gioco quando si tratta di ricavare dei bei soldi a fronte di un investimento irrisorio su una scommessa certa. Ricevono infatti un generoso assist dall'agenzia governativa statunitense che ha il compito di regolamentare i derivati finanziari, la Commodity Futures Trading Corporation (CFTC).

Grafico storico del prezzo del barile, da febbraio 2003 a febbraio 2012.
Dal principio dell'ottobre 2011, non più di sei mesi fa, il prezzo del Brent (ndt: uno dei due prezzi di riferimento del greggio sui mercati) nella borsa ICE Futures è cresciuto da poco meno di 100 dollari al barile fin sopra i 126, un aumento di oltre il 25%. Nel 2009 il petrolio costava 30$.
Eppure, allo stesso tempo, la richiesta del greggio a livello mondiale non è in aumento, bensì in calo. L’International Energy Agency (IEA) comunica che negli ultimi tre mesi del 2011 la fornitura mondiale di petrolio è aumentata di 1,3 milioni di barili al giorno mentre, nello stesso lasso di tempo, la domanda è cresciuta soltanto poco più della metà di questo dato. L'uso della benzina è in declino dell'8% negli Stati Uniti, del 22% in Europa e persino in Cina. La recessione che dilaga nella maggior parte dell'Unione Europea, la depressione sempre più intensa negli Stati Uniti e una frenata in Giappone hanno portato a un calo della richiesta, contestualmente alle nuove scoperte quotidiane e ai nuovi approvvigionamenti da parte di paesi come l'Iraq, dopo anni di conflitti. Una lieve impennata negli acquisti di petrolio da parte della Cina nel gennaio e febbraio scorsi erano determinati dalla loro decisione di dicembre di mettere a punto una riserva strategica di petrolio, ma si prevede che i livelli di importazione ritorneranno nella norma entro la fine di questo mese.
Perché, allora, questa impennata nel prezzo del petrolio?
Giocare col "petrolio di carta"
È utile dare un'occhiata alla funzione del "petrolio di carta". Da quando Goldman Sachs comprò J. Aron & Co., un’astuta trader di commodities negli anni '80, la compravendita del greggio è passata da un contesto di compratori e venditori di giacimenti o di petrolio a una logica di mercato, in cui la speculazione senza disciplina, le scommesse sul prezzo di un determinato greggio in una determinata borsa - solitamente a trenta, sessanta o novanta giorni - e non già una effettiva richiesta di petrolio reale determinano i prezzi quotidiani.
Negli ultimi anni il Congresso degli Stati Uniti, che strizza l'occhio a Wall Street (e ne è finanziato), ha approvato numerose leggi a tutela delle banche interessate ai mercati petroliferi, tra le quali una che, nel 2001, consentì alla Enron in bancarotta di servirsi di un'operatività fraudolenta del valore di miliardi di dollari per salvarsi dal collasso.
Il Commodity Futures Modernization Act del 2000 (CFMA) fu abbozzato da colui che oggi è il Segretario della Tesoro del presidente Obama, Tim Geithner. Considerata l'influente pressione finanziaria della lobby delle banche di Wall Street, il CFMA, una volta approvato, ha dato il via libera a ricavi sottobanco (tra diverse istituzioni finanziarie) senza una qualsivoglia supervisione del governo nei mercati dell'energia. Il petrolio e altre fonti di energia ne erano esentati, grazie alla scappatoia conosciuta come "Enron Loophole".
Nel 2008, nel corso delle proteste popolari contro le banche di Wall Street a causa della crisi finanziaria, il Congresso promosse finalmente una legge che sorpassava il veto del presidente George Bush per "abolire l'Enron Loophole". Così, dal gennaio 2011, grazie al Dodd-Frank Wall Street Reform Act, il CFTC ha acquisito anche l'autorità di imporre limiti operativi ai trader del petrolio, a partire dallo stesso gennaio 2011.
Stranamente, questi limiti non sono ancora stati resi effettivi dal CFTC. In una recente intervista, il senatore del Vermont Bernie Sanders ha affermato che il CFTC non "nutre il desiderio" di mettere in pratica questi limiti e "deve obbedire alla legge". Aggiunge: "Quello che dobbiamo fare è […] porre un tetto alla quantità di petrolio che ciascuna compagnia può controllare sulle borse merci. L'obiettivo di questi speculatori non è di utilizzare il petrolio, bensì di trarre profitto dalla speculazione, far salire i prezzi e poi vendere" (1). Malgrado avesse caldeggiato di eliminare ogni scappatoia, il presidente del CFTC Gary Gensler deve ancora provvedervi. Come è chiaro, Gensler è stato un funzionario di, indovinate?, Goldman Sachs. L'adempimento del CFTC resta non pervenuto.
Diverse fonti ritengono fondamentale il ruolo delle grandi banche, assieme ai grandi del petrolio come BP, per quanto riguarda la manipolazione del nuovo aumento dei prezzi del petrolio dello scorso autunno, distaccato dalla domanda e all’offerta reale.
Un “gioco d'azzardo"…
Le stime attuali rivelano che gli speculatori, ovvero i trader dei mercati come banche e gli hedge fund che non intendono commerciare beni fisici ma solo ricavare guadagni sulla carta, oggi controllano l'80% dei mercati dell'energia, circa il 30% in più rispetto a dieci anni fa. Il presidente del CFTC Gary Gensler, forse cercando di mantenere un alone di credibilità nonostante la sua agenzia abbia ignorato il mandato di legge del Congresso, ha dichiarato che, per quanto concerne i mercati del petrolio, "enormi afflussi di somme speculative generano una previsione che si avvera da sola e fa quindi schizzare in alto il prezzo dei beni" (2). In un'intervista trasmessa sulla TV di stato all'inizio di marzo, il Ministro del Petrolio del Kuwait Hani Hussein ha dichiarato che "basandosi sulla teoria della domanda e offerta, i prezzi del petrolio ad oggi non sono giustificabili" (3).
Michael Greenberger, professore presso la School of Law dell'Università del Maryland e già regolatore del CFTC che ha tentato di mettere in luce le conseguenze della decisione del governo di consentire speculazioni senza limiti e la manipolazione dei prezzi dell'energia da parte di grandi banche e fondi, ha di recente dichiarato che "ci sono cinquanta studi a dimostrare che la speculazione aggiunge un evidente surplus al prezzo del petrolio, ma che questo, per qualche ragione, non è filtrato come opinione diffusa". "Una volta che il mercato è dominato dagli speculatori, questo diventa di fatto una casa per il “gioco d'azzardo" (4).
L'esito di una regolamentazione permissiva dei mercati del petrolio da parte del governo degli Stati Uniti ha creato le condizioni ideali per cui una manciata di banche strategiche e di istituzioni finanziarie - curiosamente le stesse che dominano il commercio dei derivati del petrolio -, nonché le stesse che condividono il possesso della principale borsa merci di Londra, la ICE Futures, sono in grado di manipolare le ingenti oscillazioni che condizionano nel breve periodo il prezzo con cui paghiamo il petrolio o la benzina, o numerosi altri prodotti generati dal petrolio.
Ci troviamo in una di queste oscillazioni proprio ora, una situazione peggiorata dalla retorica politica minacciosa da parte di Israele contro il programma nucleare dell'Iran. Affermo categoricamente la mia sicura convinzione che Israele non intraprenderà una guerra diretta contro l'Iran, e nemmeno lo farà Washington. Ma l’effetto della retorica di guerra è quello di creare il fondale ideale per un’ingente impennata delle speculazioni sul petrolio. Qualche analista parla del barile a 150 dollari entro l'estate.
Hillary Clinton, a colloquio con il Ministro degli Esteri russo Lavrov, ha appena assicurato che il prezzo del petrolio continuerà a fluttuare in alto per mesi a causa del timore di una guerra contro l'Iran, esprimendo un nuovo ultimatum all'Iran sulla questione nucleare: "Entro la fine di questo anno, altrimenti..." (5).
Stranamente, uno degli volani dell'attuale crescita dei prezzi del petrolio sono le sanzioni economiche che l'amministrazione Obama ha di recente imposto alla Banca Centrale iraniana sulla compravendita del petrolio. Esercitando pressioni su Giappone, Sud Corea e sull'Unione Europea affinché non importino petrolio dall'Iran per non incorrano in azioni punitive, Washington sembra aver forzato nelle ultime settimane un'enorme flessione delle forniture petrolifere dell'Iran sui mercati mondiali, dando una grande spinta al gioco di Wall Street sui profitti del petrolio. In un recente editoriale sul Financial Times di Londra, Ian Bremmer e David Gordon dell'Eurasia Group hanno scritto che "escludere troppe quantità di petrolio iraniano per l'approvvigionamento energetico mondiale potrebbe provocare un'impennata dei prezzi tale da minacciare una possibile ripresa, anche se per causare un dissesto finanziario all'Iran. Forse per la prima volta, le sanzioni potrebbero avere 'fin troppo successo', danneggiando chi sanziona tanto quanto chi è sanzionato".
Secondo Bloomberg, l'Iran imbarca da trecento a quattrocentomila barili al giorno invece dei consueti due milioni e mezzo. La scorsa settimana, la US Energy Information Administration ha dichiarato in un rapporto che la maggior parte del petrolio iraniano non viene attualmente esportato perché le assicurazioni non emetterebbero polizze per le spedizioni (6).
La questione della speculazione senza limiti né regolamentazioni da parte di una manciata di grandi banche non è una novità. Nel 2006 un resoconto del Senate Permanent Subcommittee on Investigation degli Stati Uniti sul "ruolo della speculazione dei mercati sull'aumento dei prezzi di petrolio e gas" specificava "prove evidenti nell'argomentare la tesi che una vasta speculazione nei mercati di adesso ha significativamente fatto aumentare i prezzi".
Il report evidenziava che questa Commissione aveva ricevuto dal Congresso il mandato di assicurare che i prezzi sulle borse riflettessero la legge della domanda e dell'offerta invece che le manipolazioni o le eccessive speculazioni. Il Commodity Exchange Act (CEA) afferma che "un'eccessiva speculazione su qualsivoglia bene sottoposto a contratto di vendita futura dello stesso bene […] che causi fluttuazioni repentine o esorbitanti, o cambiamenti ingiustificati nei prezzi di tale bene, è un fardello non dovuto e non necessario per il commercio internazionale di questo bene". Inoltre, il CEA sprona la CFTC a fissare quei limiti alle compravendite che "la commissione trovi necessari per diminuire, eliminare e prevenire tale fardello" (7).
Dove è il CFTC, ora che abbiamo bisogno di questi limiti? Come ha riscontrato correttamente il senatore Sanders, il CFTC pare ignorare la legge a beneficio degli amici di Goldman Sachs e Wall Street che dominano la compravendita nei mercati.
Nel momento in cui sarà chiaro che l'amministrazione Obama agisce per prevenire una guerra con l'Iran aprendo dei canali diplomatici e che Netanyahu utilizza le minacce di guerra semplicemente per valorizzare la sua posizione tattica e contrattare con quell'amministrazione Obama che disdegna, il prezzo del petrolio sarà destinato ad affondare come un sasso nell'acqua, questione di giorni. Fino ad allora, gli addetti ai lavori se la rideranno ancora sotto i baffi. Se rapportati alla debole crescita economica mondiale, specialmente in paesi come la Cina, gli effetti del prezzo del petrolio alle stelle sono estremamente negativi.

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Fonte: Why The Huge Spike in Oil Prices? "Peak Oil" or Wall Street Speculation?
16.03.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di COLDWATERMUSIC

domenica 18 marzo 2012

ORTO PALLET

Come trasformare un pallet in un orto verticale da balcone/ How to turn a pallet into a vertical urban garden 

 Il 16 maggio 2011, sotto Consigli utili, Orto verticale, scritto da pianteepassione

Di pallet a casa mia ne sono passati tanti e tutte le volte mi sono chiesta cosa potevo farne. Attualmente ne ho uno che uso come cancelletto per il cane.

I have had a lot of pallet at home and every time I asked myself: what could I do of them? Now I have one on my balcony. I use it as a gate! But in one of my trips on the web I discovered a lot of original ways to give a new life to an old pallet. So here's a series of posts dedicated to this topic.
The first one is HOW TO TURN A PALLET INTO AN URBAN GARDEN. My friends from the world can follow instructions in English directly from the original tutorial. You find it on Fern Richardson's nice blog Life on the balcony.


Ma in uno dei miei tanti viaggi sul web ho scoperto che ci sono dei modi veramente originali di ridare nuova vita a un pallet. Ecco dunque una serie di post dedicati a questo argomento. Il primo di questi è:

COME REALIZZARE UN ORTO VERTICALE URBANO CON UN PALLET


L'idea proviene dal simpatico blog di Fern Richardson Life on the balcony.

La prima cosa da fare è trovare un pallet in buone condizioni, pulito e senza muffe. 

L'occorrente poi è il seguente:
due sacchi di terriccio, 45 piantine annuali, della tela in tessuto o in plastica da giardinaggio, una pistola per graffette e carta vetrata. 

Levigate per bene il pallet con la carta vetrata. Poi spillate con la pistola per graffette il tessuto da giardinaggio sul retro del pallet, avendo cura di coprire col tessuto anche  3 lati  del pallet. Il tessuto creerà  una sorta di sacca che conterrà il terriccio.

Aggiungi didascalia
Portare il pallet pinzato il più vicino possibile al luogo in cui andremo ad appenderlo o a sistemarlo. A quel punto cominciare a inserire le piantine nella fessura superiore del pallet, come mostrato in figura. Dovranno essere messe una attaccata all'altra, cioè senza lasciare spazi fra loro.



 Versare la prima busta di   terriccio, facendolo scivolare attraverso le fessure fra le assi del pallet e cercando di compattarlo e lisciarlo. Ripetere con la seconda busta.



Praticare 6 buche  in prossimità di ciascuna fessura e piantare sei o più piantine per fessura (a seconda della dimensione del pallet) in modo che siano molto strette fra loro. Pressare bene il terreno fra le piantine in modo che si compatti e non venga via nel momento in cui andremo a mettere in verticale il nostro pallet. Il risultato dev'essere come quello nella foto.


Per la manutenzione attenetevi alle seguenti istruzioni:
  1. Tenere per circa un paio di settimane il pallet steso per terra, a faccia in su, in modo da far assestare il terreno e far attecchire le radici per bene. 
  2. Innaffiare regolarmente. Le piante della fessura più in basso sono quelle il cui terreno si secca più velocemente. 
  3. Fertilizzare con un normale fertilizzante liquido da aggiungere all'acqua di irrigazione, seguendo le istruzioni sulla confezione. 

Personalmente avrei anche colorato la parte visibile del pallet con un bel color glicine oppure in bianco effetto shabby. Inoltre, un'idea ulteriore per spendere di meno, considerando che il costo maggiore sono le piantine, dato che ne occorrono circa 45, può essere quella di piantare dei semi che germogliano facilmente, come ad esempio quelli dei legumi, lenticchie, ceci, fagioli, cicerchia, fave, fagiolini ecc, sono facilissime da far crescere e fanno anche dei bei fiori. Quasi quasi proverò proprio con quelle a creare il mio orto verticale urbano!

venerdì 9 marzo 2012

RESILIENZA

Transizione: Resilienza contro la Crisi !!




Domanda: Da cosa dipende il progresso, la suddivisione e specializzazione del lavoro che ci ha portato fino a qui?
Risposta: Dal denaro. La merce più scambiabile, che ha fatto passare l'uomo dal baratto allo scambio complesso di beni e servizi. Allontanando l'uomo dalla terra con successive rivoluzioni verso l'industria, il terziario ed ora il terziario avanzato si è creato un sistema nel quale l'uomo è sempre più vulnerabile da emergenze esterne.
Domanda: Cosa succede se il sistema basato sul denaro a debito va in crisi ?
Risposta: L'uomo torna alle origini, ai bisogni primari, al cibo ed al baratto di beni e servizi.
Domanda: Ma se muore il denaro, cosa ci può servire per vivere?
Risposta: Resilienza e Autarchia.
(Dal sito http://ioelatransizione.wordpress.com/)
La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare, una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni.
La società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza. Viviamo tutti un costante stato di dipendenza da sistemi e organizzazioni dei quali non abbiamo alcun controllo. Nelle nostre città consumiamo gas, cibo, prodotti che percorrono migliaia di chilometri per raggiungerci, con catene di produzione e distribuzione estremamente lunghe, complesse e delicate. Il tutto è reso possibile dall’abbondanza di petrolio a basso prezzo che rende semplice avere energia ovunque e spostare enormi quantità di merci da una parte all’altra del pianeta.
È facile scorgere l’estrema fragilità di questo assetto, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza. Questa non è resilienza.
I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).
Lo fa con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. La dimensione locale non preclude però l’esistenza di altri livelli di relazione, scambio e mercato regionale, nazionale, internazionale e globale.